Saturday, February 20, 2010

Sanremo 2010 - Riflessioni (semi)serie sulla serata finale

Ci sono riusciti, alla fine hanno vinto loro. Alle ore 0:00 mi ritrovo a tifare Valerio Scanu, perdendo anche l'ultimo briciolo di dignità rimastami, senza neanche scervellarmi più nel tentar di cogliere il significato del verso "a far l'amore in tutti i laghi". Anzi, viva i laghi e viva i loro straripamenti, soprattutto se a esondare sarà quello di Ginevra, città dove risiede la famiglia Savoia. E con lui anche tutti i laghi d'Italia, perché dopotutto questo paese ha più di una colpa da annegare.
Infatti la vera domanda da porci non è perché l'orribile inno colonialista del giovin principe sia arrivato in finale, ma perché sia stato ammesso!
Il problema, come sempre, sta alla radice. E nel sistema. Un sistema che organizza quest'ultima puntata festivaliera a immagine e somiglianza dell'Italia di oggi: ci sono i politici che litigano, gli operai in cassa integrazione che piangono, la banda dei Carabinieri, i bambini prodigio, i cellulari di Moggi (i televoti pilotati), i paraculi (tanti, ma il re è senz'altro Povia), i nani (Pupo), le ballerine (la Cuccarini), la religione (il figlio di Maria: Scanu) e perfino gli orchestrali che strepitano come dei Vittorio Sgarbi qualunque all'eliminazione di Malika Ayane. E, last but not least, gli aiuti del governo ai precari, sotto forma di doppi turni nei call center affittati da Emanuele Filiberto. Dunque ditemi ora: secondo voi Italia amore mio stonava davvero così tanto lì in mezzo?

Friday, February 19, 2010

Sanremo 2010, ovvero: anche il maligno guarda il festival e tifa per Povia. Ora ho le prove!

Malika Ayane con Sabina Brazzo: visto che la lingua italiana non è ancora un'opinione, se si chiama "serata dei duetti" un motivo ci sarà, Cristo santo. Per questo mi incazzo con chi, come la Ayane, non si mette in gioco, limitandosi a portare con sé sul palco una ballerina che sgambetta sullo sfondo mentre va in scena l'interpretazione di sempre. È vero, Sabina Brazzo è la prima ballerina della Scala, ma per me potrebbe anche esserci lo zombie di Don Lurio che la cosa non cambierebbe. Boring. E scorretta.

Simone Cristicchi e il coro dei minatori di Santa Fiora: il coro di canuti minatori del Monte Amiata aveva già accompagnato Cristicchi in altre occasioni certamente più felici; qui il loro supporto al brano è limitato al solo ritornello e i microfoni sono volutamente tenuti bassi. Il perché lo capisco quando il regista fa una carrallata di primi piani: non c'è una labiale che corrisponda alle parole esatte da cantare. Sgangheratissimo ma quantomeno divertente.

Irene Grandi con Marco Cocci: Marco Cocci ci aveva già dato prova delle sue TOTALMENTE ASSENTI qualità vocali al festival di due anni fa, duettando con L'Aura e i Rezophonic. In compenso mette in scena la miglior prova recitativa della sua carriera, calandosi così "strasberghianamente" nella parte da risultare un perfetto sosia di Francesco Bianconi, con tanto di capelli visibilmente iperseborroici.

Irene Fornaciari e i Nomadi con Mousse T & Suzie: come se non fosse già sufficientemente male assortito l'accoppiamento tra lei e i Nomadi, la Fornaciari si porta sul palco Mousse T (sì è quello che sembra il sosia del mago Forrest) e la sua cantante feticcio Suzie. Niente da segnalare nella performance, se non il solito Danilo Sacco che stavolta si presenta vestito da Harry Potter con occhialetti tondi e divisa da studente di Hogwarts!

Marco Mengoni con i Solis String Quartet: l'idea di presentare il pezzo accompagnato solo da un quartetto d'archi non è male, ma purtroppo l'unico punto vagamente difendibile del bruttissimo pezzo di Marco stava proprio nell'arrangiamento originale. Stavolta la sua intonazione presenta anche qualche piccola sporcatura, ma il Mengoni dimostra ancora una volta di sapere tenere il palco meglio di chiunque altro veterano.

Cavour, D'Azeglio, Rattazzi con Marcello Lippi e le Divas: ero indecisa se valeva la pena sprecare parole su questa esibizione. Ma il tappeto di fischi e il coro "Cassano Cassano" che accompagna la loro entrata in scena mi ha infonde un motivo in più per andare avanti. Appare subito chiaro che il più patetico del gruppo è proprio il CT della Nazionale, che gela la Clerici interrompendo malamente la sua presentazione, per arringare la folla come un Duce (abusando ampiamente del tempo a disposizione per l'esibizione) con un discorso sull'amor patrio che il brano dovrebbe risvegliare, al termine del quale se ne va. Cosa resta? Beh, la conferma inequivocabile che questo sia una merda di pezzo per pezzi di merda.

E ora una parentesi off-competion: se ieri sera una Nilla Pizzi morta ha cantato dal vivo, stasera una Jennifer Lopez purtroppo viva canta con un playback che manco alla prima edizione di Non è la Rai. ADONILLA È ROCK. J.LO È LENTA.

Valerio Scanu con Alessandra Amoroso: il pezzo andrebbe ri-intitolato "Per tutte le volte che mi scassate la minchia", perché sinceramente comincio a non poterne più.

Arisa con la Lino Patruno Jazz Band: anche stavolta Arisa sceglie un raffinato musicista jazz e la sua band per la serata dei duetti. Il brano è totalmente riarrangiato in stile "orchestrina da cabaret della Repubblica di Weimar", e la cantante si presenta in scena con un look che richiama quello di Liza Minnelli nell'omonimo film Bob Fosse, (no, non vi preoccupate, la guepiere non ce l'aveva!) rinunciando addirittura agli occhiali suo marchio di fabbrica, oltre che alle sorelle Marinetti, che invece non avrebbero per nulla stonato in questo quadretto. A me piace e diverte, ma i riferimenti stavolta sono davvero troppo alti per un pubblico che ripesca in gara Italia amore mio.

Enrico Ruggeri con i Decibel: il timore che si potesse cadere nel patetico ce l'avevo eccome. Ma alla prima nota cedo completamente alla fascinazione della tastierina anni 80. Per l'occasione Ruggeri indossa pure i mitici occhiali con montatura bianca che fecero tendenza all'epoca e anche se non ha più la voce né i capelli di quando i Decibel cantavano Contessa e Polvere, l'esibizione è la migliore della serata grazie ad una ritrovata confidenza col palco e alle incertezze vocali quasi del tutto dimenticate. E l'arrangiamento è ancora una volta il migliore in gara. E viene giustamente premiato con l'ELIMINAZIONE.

Noemi con i Kataklò: fa almeno cinque o sei vocalizzi un'ottava sotto e si dimentica di nuovo il testo. In più abbraccia la criminosa "tattica Ayane", portando sul palco solo lo sciapo contorno di alcuni ballerini. Non ci siamo Noemi!

Fabrizio Moro con Jarabe De Palo e Dj Jad: cominciamo benissimo, con la Clerici che dimentica di presentare Dj Jad, ma d'altra parte lui è sempre stato un po' il Mauro Repetto degli Articolo 31.
Jarabe De Palo, patetica meteora ispanica che giusto in Italia ci ricordiamo, si crede Manu Chau e mi aspetto che da un momento all'altro si metta a rollare un joint sul palco. Joint che invece dovrei farmi io, assieme a dieci bicchieri di Vecchia Romagna, per reggere questa porcata sonora. ELIMINATO.

Povia con Marco Masini: contemporaneamene a questa esibizione su Rai4 (e giuro che è tutto vero, controllate pure i palinsesti) sta cominciando L'Esorcista in versione integrale e lo prendo come un oscuro presagio. Roba che Roberto Giacobbo ci farebbe su almeno una ventina di puntate di Voyager. Quindi impugno il rosario fosforescente di Padre Pio che regalava un vecchio numero di Gente e cambio canale. No anzi, chiamo Padre Amorth.

LE NUOVE PROPOSTE:

Jessica Brando - Dove non ci sono ore: finalmente la vediamo dal vivo dopo l'imbarazzante video di ieri sera. E dopo una strofa sento la mancanza del girato stile Dogma 95 di ieri sera, perché almeno distraeva dall'ascolto. La quindicenne Jessica interpreta il classico brano da donna in menopausa con quattro divorzi alle spalle e l'agenda fitta di lezioni di pilates. E lo fa prendendosi pure drammaticamente sul serio, con voce impostata e mano protesa verso l'infinito. Aridatece di Gazosa!

Tony Maiello - Il linguaggio della resa: il trionfo del "Cioè pensiero". Viene sommerso dai voti di tutte quelle dodicenni che, preoccupate di poter restare incinta dopo un solo bacio, trovano comunque grande gratificazione sessuale in una sua languida occhiata, senza alcun rischio di incappare in brutte sorprese. E va a vincere, sovvertendo i pronostici che davano la Zilli favorita. Riguardo alla performance, spreco solo poche parole: da orchite fulminante. Ma più patetico ancora il siparietto post premiazione, con il padre di Tony che compie un gesto di "cavallopazziana", zompando all'improvviso sul palco e spaventando la Clerici, che dopo essersi ripresa dallo choc grida "Ecco il marito di Mara Maionchi!". Sob. Si conclude il tutto con l'allungamento di un paio d'anni della vita di quest'ultima, dopo che Tony alla domanda di Antonella "Ma dovè Mara?" risponde "Sarà morta". Mara è morta, lunga vita a Mara.

Luca Marino - Tu non mi dai pace: è vero, il pezzo non è un plagio di Piccola e fragile di Drupi: è un plagio di Piccola e fragile con un brave passaggio strumentale preso paro paro da Minuetto di Mia Martini. E nessuno continua ad non accorgersene, per Dio!

Nina Zilli - L'uomo che amava le donne: nel suo modo di cantare continuo a trovare un so che di davvero irritante, ma stavolta sono disposta a lasciar correre e diventare la sua migliore amica purché mi apra le porte della sua cabina armadio.

Thursday, February 18, 2010

Sanremo 2010 - La terza serata, ovvero: pere, pesche miracolose e altri frutti appuntiti messi in luoghi impropri.

Serata di ripescaggi: i cinque BIG eliminati nelle precedenti serate ripropongono i loro bellissimi brani duettando con un'ospite italiano o straniero. A decidere chi potrà tornare in gara sarà il pubblico a casa tramite televoto. Quindi potremmo anche chiudere la televesione ed andare a dormire perché tutto è già perfettamente scritto. Ma perché mai lasciar perdere l'opportunità di farmi venire una dissenteria fulminante riascoltando la voce di Emanuele Filiberto? Quindi andiamo avanti e passiamo alle esibizioni.

Toto Cutugno con Belem Rodriguez: va in scena un match epico: STONATURE DI TOTO vs LE PERE DELLA RODRIGUEZ. Le stonature vincono per ko alla prima ripresa.

Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici con Le Divas: i nostri tre eroi monarchici portano sul palco un quartetto di sedicenti soprani strappone prestate loro da papà Vittorio Emanuele (a Pupo avrà regalato anche qualche videopoker?), ma avrebbero certo fatto migliore figura chiedendo in prestito ad Arisa le sorelle Marinetti. Meriterebbero l'impiccagione in piazzale Loreto e invece vengono RIPESCATI. D'altra parte per un popolo che si ostina a votare Berlusconi questa è normale amministrazione.

Valerio Scanu con Alessandra Amoroso: la Sony, autentica S.P.E.C.T.R.E. dell'industria discografica terroristica mondiale, mette in atto un piano criminale raffinatissimo, sfruttando a suo favore le debolezze dell'avversaria EMI, reduce dalla Caporetto del cavallino vincente Scanu, prestandogli la sua agente speciale sotto copertura Alessandra Amoroso. Va così in scena "Maciste contro il Grande Puffo". Perché la Amoroso, altra figlioccia di Maria, non è certo un talento miracoloso, ma a confronto di Scanu appare Dionne Warwick. La Amoroso appare sul palco a canzone iniziata come Anna Oxa in duetto con Fausto Leali ai tempi di Ti lascerò (quasi a dire "sono io la vera diva, stronzo!"), pettinata come Plastic Bertrand negli anni d'oro, e appare subito chiara una cosa: se il brano l'avesse portato in gara lei sarebbe arrivata prima. Il RIPESCAGGIO è scontato. Così come anche l'ottimo piazzamento che avrà Scanu in finale, grazie al supporto del pubblico a casa. C'è un lato positivo in tutto questo: potremo vedere ancora un volta il maestro Beppe Vessicchio dirigigere l'orchestra e sognare di affondare la mano nella sua folta barba per vedere se dietro è nascosto il passaggio per una dimensione parallela.

Sonohra con Dodi Battaglia: Due poppanti ed uno zombi. Primo, e speriamo anche ultimo, grande esperimento di nichilismo discografico.

Nino D'Angelo e Maria Nazionale con Ambrogio Sparagna e le Voci del Sud: Nino e Maria portano sul palco un nutrito gruppo di rappresentanti canori delle regioni del sud d'Italia e il musicologo Ambrogio Sparagna, ma la canzone è già sufficientemente caciarona di suo e l'effetto ottenuto è traducibile in queste semplici parole: UN GRAN BORDELLO DA FIERA PAESANA. Allora tanto valeva portare Tullio De Piscopo e Tony Esposito con il loro pentolame. Il pezzo, comunque, è l'unico che meriterebbe davvero il salvataggio, semplicemente perché Nino è Nino. E se proprio vogliamo dirla tutta, la Nazionale questa sera è splendida.

È passata da un pezzo la mezzanotte quando vanno finalmente in scena le utime cinque Nuove Proposte. Tutto questo ritardo per rendere omaggio alla salma di Nilla Pizzi, portata in scena su un carrellino come il dottor Hannibal Lecter.

Jessica Brando - Dove non ci sono ore: essendo minorenne, secondo il regolamento di retaggio fascista non può cantare in diretta e viene mandato un bruttissimo filmato realizzato durante le prove dove manca soltanto la donna delle pulizie dell'Ariston che le ramazza intorno. Scandaloso. E siccome non c'è fine al peggio la Clerici tenta di mettere una toppa che si rivela peggiore dello strappo da rammendare, dicendo tra le righe che sarebbe giusto votarla per premiare questa penalizzazione. La Brando finisce per QUALIFICARSI facendo suo malgrado la figura della raccomandata. Ed è un peccato perché se la sua canzone è abbastanza brutta e scolastica, in compenso la sua voce da dei punti anche a molti big in gara.

Nicolas Bonazzi - Dirsi che è normale: al centro di un piccolo giallo nei giorni precedenti perché pare avesse incautamente pubblicato sul suo MySpace il brano in gara. Chi se ne frega, tanto sfido chiunque a capire anche una sola parola del Bonazzi. Imita i vocalizzi di Tiziano Ferro, ma la sua vistosa ERRE arrotata necessita di una sottotilazione alla pagina 777 del televideo. ELIMINATO. La sua scheda di presentazione ci racconta che Nicolas tempo fa stava per emigrare in America a tentar fortuna. Beh Nicolas, ora più niente ti trattiene, men che meno io.

La fame di Camilla - Buio e luce: essendo l'unico gruppo musicale in gara in questa edizione, non nascondo che avevo non poca curiosità di sentirli. La fame di Camilla sono un gruppo ambizioso, a cominciare dal nome ispirato a Feuerbach. A dire il vero ho qualche diffcoltà a capire dove vogliano andare a parare: si presentano come rockettari indie ma non ci credono fino in fondo nemmeno loro e il risultato finale è più simile a un pezzo dei Baustelle (con tanto di corista che fa la doppia voce alla Rachele) senza però i testi del Bianconi. Ad ogni modo il brano si lascia decisamente sentire: l'arrangiamento non è male e alla radio funzionerà benissimo. Sarebbero gli unici che meriterebbero davvero la promozione alla finale e invece vengono ELIMINATI.

Tony Maiello - Il linguaggio della resa: già meteora della prima edizione di X-Factor, Tony non ci sta e con questa sua nuova breve parentesi sotto i riflettori Rai si avvia ad essere il primo caso documentato di meteora che ridiventa meteora. Non può non essere così per un ragazzo che ha sempre basato quel po' di notorietà esclusivamente sugli ammiccamenti alla telecamera. Maiello stona alla grande, ha la voce più volte calante e il pezzo è un'orrida nenia che conduce l'ascoltatore al suicidio. Sembrerebbe uno scarto di Gigi D'alessio se non fosse che il brano è scritto da Alberto Salerno, marito di Mara Maionchi, autore di Io vagabondo dei Nomadi. QUALIFICATO.

Romeus - Come l'autunno: un arrangiamento quasi soul per un pezzo scritto da Tricarico, simile però ai Negramaro, ma che nel ritornello diventa dei Baustelle, che il giovane interpreta come Riccardo Maffoni che imita Giuliano Sangiorgi. Che pasticcio Romeus! ELIMINATO.

Wednesday, February 17, 2010

Sanremo 2010 - Le nuove proposte PART. 1, ovvero: ma perché non esiste più il sogno di un bel posto in banca?

Nina Zilli – L’uomo che amava le donne: cavalla di razza della super major discografica (Universal), Nina Zilli colpisce immediatamente lo spettatore per la grande bellezza e il suo sofisticato look da pin-up che già ci aveva mostrato nel video di 50mila, stravenduta hit dell'estate cantata in coppia con Giuliano Palma. La ragazza avrebbe tutte le carte in regola per vincere ma questa L'uomo che amava le donne è davvero identica in ogni sua parte al suo precedente successo, colpa anche del testo scritto da un evidemente poco ispirato Kaballà. E senza l'ausilio di una controvoce importante come quella di Palma lo stile della Zilli stufa dopo pochi vibrati. Resta comunque la migliore della serata e la giuria composta questa volta al 50% dagli orchestrali Rai e al 50% dal pubblico a casa non può non premiarla. QUALIFICATA e certamente vincitrice.

Broken Heart College – Mesi: figli di Trl, la peggiore trasmissione televisiva musicale di sempre, riescono nell'impresa titanica di farmi dimenticare la performance dei Sonhora, ma questo non so se sia un bene o un male. Fanno talmente schifo che perfino il regista Duccio Forzano preferisce più volte distogliere la telecamera da loro inquadrando un corista anzianotto con la coda di cavallo chiaramente uscito ieri da Rebibbia. Diventati famosi con il brano Na na na, i due ragazzi restano fedeli ai suoni onomatopeici da logopedista proponendo un brano infarcito di "uo uo uo", maldestri tentativi di riempire un vuoto pneumatico incolmabile, musicalmente e mentalmente parlando. Anche loro sono prodotti dalla potente Universal, ma come in Highlander ne resterà soltanto uno. E la Zilli li decapita con estrema facilità. ELIMINATI.

Mattia De Luca – Non parlare più: il testo del pezzo porta la firma di Tricarico, pseudonimo sotto il quale si cela evidentemente Michele Zarrillo, perché dello stile surreale dell'autore di Io sono Francesco non vi è neanche l'ombra. Noioso pop melodico già sentito ancora prima di essere ascoltato e per di più infarcito da continui ammiccamenti del ragazzo alla camera. ELIMINATO.

Jacopo Ratini – Su questa panchina: lanciato come la risposta maschile ad Arisa, assomiglia più alla risposta sfigata di Povia e della sua "mimo-canzone" e ho detto tutto. Questo qui sfoggia pure il look di Fiorello quando faceva il karaoke e questo non è davvero tollerabile. ELIMINATO, si spera dalla faccia della terra.

Luca Marino – Tu non mi dai pace: infinocchia tutti cantanto sulla base di Piccola e fragile di Drupi e si QUALIFICA pure per la finale. Un genio del male con la faccia da bambino. Anzi no, con la faccia di Noel Gallagher bambino... o di Daniele Groff, fate un po' voi.

La giuria demoscopica presente in teatro ha nuovamente il compito di eliminare due interpreti. Vengono inaspettatamente trombati il cantante neo-confidenziale de noartri Valerio Scanu e il duo bimbominkia dei Sonhora. Il primo verrà certamente recuperato grazie al televoto come fu per Sal Da Vinci lo scorso anno, che dopo il ripescaggio arrivò pure secondo. I Sonhora (mi rendo conto solo ora che ogni volta metto l'acca in posto diverso...) tornano invece a giocare con le formire e i Gormiti assieme ai Broken Heart College, sperando che qualcuno di loro non si curi dell'avvertenza sulle confezioni "VIETATO AI BAMBINI DI ETA' INFERIORE AI 3 ANNI" e ne ingerisca uno.

Tuesday, February 16, 2010

Sanremo 2010, ovvero: grazie al cielo mancano solo due anni alla fine del mondo.

La pubblicità occulta prima alla Lavazza e poi a Ciao Darwin della durata di circa quindici minuti camuffati da passaggio del testimone tra i conduttori della precedente edizione, Paolo Bonolis e Luca Laurenti, e l'ordierna padrona di casa, la dice lunga sul tenore di quest'edizione del festival e fa presagire il peggio, che prende immediatamente forma con l'apparizione della Clerici, vestita con lo stesso tessuto glietterato della tuta di Automan, che assolve perfettamente il suo compito: camuffare le forme ancora giunoniche (nonostante la dieta a base di pastiglioni delle televendite) della bionda conduttrice per evitare di dover correre a vomitare ripetutamente la cena appena consumata.

Irene Grandi - La cometa di Halley: scritta da Francesco Bianconi, il frontman dei Baustelle con seri problemi di ipersecrezioni di sebo al cuoio capelluto. Bianconi che ancora una volta regala alla Grandi uno scarto dell'ultimo cd del suo gruppo, il cui testo comunque non ci risparmia passaggi scritti col solito tipico stile da mezzo Battiato dei poveri in crisi creativa come "la Cometa di Halley ferì il velo nero che immaginiamo nasconda la felicità". Brano abbastanza noioso, e per giunta interpretato da una Grandi decisamente sottotono. QUALIFICATA.

Valerio Scanu - Per tutte le volte che: ennesimo miracolato da santa Maria De Filippi e portato a Sanremo perché tanto sulla stessa linea ferroviaria di Lourdes. Valerio ha solo 19 anni ma musicalmente è già talmente antico da sembrare un filmato di repertorio delle teche Rai di una vecchia edizione sanremese. E il fatto che si esibisca seduto su uno sgabello con tanro di lunga sciarpa di seta bianca al collo come un cantante confidenziale (scelta certamente decisa partorita dopo lungo travaglio da trust dei migliori cervelli EMI) non fa che peggiorare le cose. QUALIFICATO.

Toto Cutugno - Aeroplani: più ancien regime di lui resta solo il maestro "Nosferatu" Minghi, che però da qualche anno ci fa il favore di tenersi lontano dall'Ariston. Dell'eterno secondo di sempre resta ben poco, e a vederlo urlare, senza più neanche l'ombra della voce di una volta, le parole di un pezzo già vecchio anche per un'edizione del festival di dieci anni fa mi crea un misto di imbarazzo e pena che finiscono col farmi sperare che Povia lo usi per esercitarsi a praticare l'eutanasia. ELIMINATO.

Arisa - Malamorenò: sfoggia un nuovo look ispirato a due icone fashion come Groucho ed Harpo Marx, ma il mood musicale è il medesimo di Sincerità: una Finché la barca va dei giorni nostri, un po' canzone un po' filastrocca, dalle sonorità country ed un ritornello molto orecchiabile. Per la verità, a differenza del pezzo precedente, questo presenta un testo con venature vagamente serie: si parla nientepopodimenoche di amore in un futuro post-atomico, ma tanto Arisa canterebbe con la stessa verve ridanciana La canzone dei Puffi così come un inno allo sterminio degli ebrei. QUALIFICATA.

Nino D’Angelo con Maria Nazionale - Jammo Ja: cambierei il detto "Vedi Napoli e poi muori" in "Senti Napoli e poi muori"...

Marco Mengoni - Credimi ancora: talmente brutta per poter essere criticata in maniera ragionevole. Mengoni, certamente più talentuoso della stragrande maggioranza dei fuoriusciti da talent show, è prova vivente dello sbando della Sony, che ormai basa le sue vendite su brani creati con Garage Band messo in mano a ex impiegati dell'ufficio postale riciclatisi autori e un gran lavoro di taglia incolla con Word. Peccato, perché la presenza scenica del giovane Marco è di gran lunga superiore a quella di tutti gli altri big in gara. QUALIFICATO e destinato ad un ottimo piazzamento.

Simone Cristicchi - Meno male: il testo Cristicchi l'ha scritto assieme a quel Di Gesù che di nome d'arte fa Frankie Hi-nrg e si sente. Rime velocissime che Cristicchi interpreta con lo stile di sempre. Per il resto, beh, penso che tra un Cristicchi e e un Povia la differenza sia ben poca, se non che il primo si salva grazie ad una certa aura empatica emanata dalla folta capigliatura (o dal fatto che non ho l'abitudine di picchiare chi porta gli occhiali). È vero, il ritornello "Meno male che c'è Carla Bruni, siamo fatti così Sarko-no Sarko-si" è concepito per incunearsi perfettamente nel cervello all'istante e restare lì. E non nego che qualche sorrisetto al momento me l'abbia strappato. Ma per favore, l'intelligenza lasciamola a casa perché non abita certo qui. Semmai parliamo di furbizia. QUALIFICATO.

Malika Ayane - Ricomincio da qui: la Clerici la presenta dicendo che "ha nella voce i colori del mondo" ma io ci sento solo la sinusite cronica. Autore è il comunque bravo Pacifico, lo stesso di Sospesa, brano del quale questo Ricomincio da qui è una cover con qualche parola cambiata qui e là. Intonata sì e se vogliamo anche originale con quel modo di muovere le mani diventato suo trademark. E naturalmente raffinata. Tanto raffinata da farmi pensare a Sergio Cammariere coma a un cantante di grindcore. Ha tutte le carte in regola per vincere, anche un neo fidanzato da esibire al pubblico ludibrio come Cesare Cremonini. E una potente etichetta discografica alle spalle, il che non fa mai male. QUALIFICATA tra le grida al miracolo dei critici musicali prezzolati.

Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici - Italia Amore mio: se Pupo ha di nuovo bisogno di soldi mi offro di staccargli un assegno purché eviti ste cazzo di pantomime cripto-nazionaliste davvero imbarazzanti. Uno pseudo inno da subumani alla Meno male che Silvio c'è, "impreziosito", per così dire, dalla voce (oddio, voce...) di Emanule Filiberto, tragicamente somigliante a quella del papero Jay Duck (ricordate il papero canterino anni 80?) ed infiocchettato pure dal tenorino che fa tanto "pace, amore e Claudio Villa". Quando a fine pezzo il principe alza il puno al cielo gridando "si stasera sono qui, gridando al mondo addio Italia amore mio", l'irritazione è tale da sperare che ad Ahmadinejad vengano i dinque minuti e ci bombardi immediatamente con le sue migliori bombe al plutonio. Da propinare a Morgan come possibile terapia disintossicante dal crack stile Arancia meccanica. NON QUALIFICATI, deo gratias, a morte il Re.

Enrico Ruggeri - La notte delle fate: la sua somiglianza con Peter Gabriel è talmentente inquietante che potrebbe benissmo essere l'argomento per una puntata del suo Mistero. Al Roberto Giacobbo della canzone resta davvero poco del Ruggeri del passato (la voce è affaticata, le stonature fiocanno) ed è un peccato perché tutto sommato il pezzo è il più onesto rock della serata, forse un po' datato ma con il migliore arrangiamento tra quelli in gara. Dirige l'orchestra una Andrea Mirò splendida.

Sonhora - Baby: la Clerici li presenta dicendo che amano il blues anni 50 e si ispirano al rock anni 60, ma chiaramente stava leggendo sul copione la riga sbagliata. Il loro Topexan-pop fa apparire i Finley come la risposta italiana agli U2, il che è tutto dire. Era dai tempi di Mirko e i Bee Hive che non si sentiva una canzone che nel titolo contenesse la parola "baby", parola capace di risvegliare in me un rigurgiti di orgoglio autarchico quasi fascista. Il loro canto a doppia voce è un supplizio di Tantalo per le orecchie ma se la canzone è brutta loro lo sono ancora di più ma grazie al cielo gli enormi e colorati cartonati delle chitarre (perché non potevano essere vere Les Paul quelle che imbracciavano) che fanno finta di suonare coprono 3/4 del loro rachitico corpo. Da picchiare. QUALIFICATI.

Povia - La verità: meriterebbe un post dedicato. Geniale artefice del ritorno alla ribalta del cosiddetto "mimocanzone" - quello di Ci son due coccodrilli e un orangotango o dell'Alleluja delle lampadine, giusto per intenderci -, che dalla parrocchia approda al palco di Sanremo. Non vende un disco ma in compenso riesce con cadenza annuale a tirar su certi dei polveroni incalcolabili con i quali Vespa ci marcia per veni puntate di Porta a Porta, tra un Padre Pio e un plastico di Cogne. Quest'anno il turno è toccato alla delicata storia di Eluana Englaro, ma la verità è che Povia ha composto anni fa un unico brano master, nel quale ogni argomento è inseribile passando attraverso paletti fissi come i piccioni che volano e mamma e papà. Certo, è seccante dover ammettere che, drammaticamente, i suoi pezzi possono essere definiti "canzoni" molto più di altri. Re della paraculaggione camuffata da etica pannelliana. QUALIFICATO.

Irene Fornaciari e i Nomadi - Il mondo piange: o meglio Irene Fornaciari e le salme impagliare dei Nomadi, che fino al minuto due del brano non si riesce a capire se siano vivi o no tanto da sperare che qualche orchestrale si prenda la briga di andare ad avvicinare uno specchietto alle loro bocche per controllare che si appanni. Poi finalmente Danilo Sacco, voce solista dello storico gruppo, viene inquadrato e capisco perché fino a quel momento il regista Duccio Forzano avesse evitato l'incauto gesto: Sacco è vestito da comparsa di un film sulla guerra di secessione americana. Il resto è una canzone opaca, cantata con un certo charme dalla figliola di Zucchero, ma sempre sospesa in quel fastidioso limbo tra l'imitazione paterna e il tentativo di una certa autonomia. QUALIFICATA.

Noemi - Per tutta la vita: sulla carta la più bella voce del festival, favoritissima per la vittoria. Peccato che incespichi nel testo e dimentichi le parole per due volte. Ma se l'emozione appanna la sua voce il brano non aiuta di certo a mettere in evidenza le sue doti qualità compresse in una ballata troppo scolastica, troppo lenta, troppo noiosa. Errore madornale a metterla in scaletta subito dopo Irene Fornaciari: entrambe rossi donnoni in sovrappeso dall'animo soul, lo scambio di persona è in agguato dietro l'angolo. QUALIFICATA tra il plauso della critica che perdona le sue sbavature e la consacra a nuova stellina del festival.

Fabrizio Moro - Non è una canzone: meriterebbe di essere imbarcato a forza su una modulo lunare ed essere lasciato a vagare nello spazio per sempre. Tanto nessuno se ne accorgerebbe visto che esce di casa solo una volta ogni uno/due anni per partecipare al festival. Non avendo più magistrati morti da funestare nell'aldilà e non potendo allargare il filone a fatti di cronaca scandalistica perché territorio di Povia, stavolta il nostro Fabrizio decide di stuprare il ritmo in levare sopra il quale butta un testo di una pochezza sconcertante a tema "libertà di vivere la propria vita in totale libertà", che fa sempre tanto rastamanno strafattone dei miei coglioni. Avvilente e QUALIFICATO.