Saturday, February 18, 2012

Sanremo 2012 - La finale o, meglio, la fine

Emma Marrone, tu sei il male, sei un golem pettinato con lo sperma, subdolo e fedifrago, tanto che, quando ti vengono chiesti i nomi degli autori, non ne ricordi neanche uno. Sei la portavoce della totale mancanza di ironia collettiva che ormai domina il paese. Tu non sei neanche un televoto truccato. Sei un voto espresso schiacciando il pulsante del Telesalvalavita Beghelli. Sei un grido d'aiuto per giovani bimbominkia mentalmente disagiati. Sei l'eutanasia della musica. Sei la fine di tutto.

In questo momento, almeno per una volta, mi sento davvero vicina a Nina Zilli ed alle sue pipette di crack nascoste nella cofana di capelli, che pure stasera non gliela fa a tenere le note senza mille svirgoli, ma che comunque sarebbe stata una vincitrice più onesta.

Mi sento vicina a Pierdavide Carone, che se avesse vinto avrebbe risparmiato quei 20 euro di prestazione di Nanì grazie alla generosità di qualche groupie cerebrolesa.

Mi sento vicina a Noemi e alla sua totale mancanza di rudimenti della teoria del colore.

Mi sento vicina ad Arisa, nonostante la maschera fuori luogo della lucana piagnona.

Mi sento vicina ad Eugenio Finardi, Samuele Bersani ed alla loro sfida immaginaria per le primarie del PD in musica.

Mi sento vicina perfino a Dolcenera, drammaticamente somigliante alla versione zoccola di Dolores O'Riordan dei Cramberries, ospiti stasera sul palco dell'Ariston.

In conclusione, per restare in tema con questo Sanremo, spero solo di vivere abbastanza per poter andare a cagare sulle tombe degli autori di questa edizione. Con buona pace di Gianni, che sono certa apprezzerà.

Friday, February 17, 2012

Sanremo 2012 - La quarta serata: Nilla Zilli canta "Grazie dei fior di papavero da oppio"

No, non sono stata soffocata nel sonno dai capelli della vendicativa Nina Zilli. Purtroppo, mercoledì sera il lavoro mi ha permesso di vedere distrattamente solo una manciata di esibizioni. Ed anche se ho rimediato guardando le performance in differita su YouTube, ammetto che non mi dispiace non sprecare troppe parole per una serata più adatta alle Teche Rai che ad una terza puntata festivaliera e per giunta senza peso alcuno sulla competizione vera e propria.
Momenti che resternanno indelebili nelle nostre menti, per carità di dio, ce ne sono stati eccome, a cominciare dal terzetto composto dalla negra alcolizzata, il ladro di motorini e l'esaurita con tendenze suicide, che trasformano il palco dell'Ariston in un colsultorio familiare.
Per non parlare del grande Aphex Twin travestito da Patti Smith che ci ha emozionato con la sempre magnifica Because the night, passando per il dolcevita indossato sotto la camicia da Cristiano Godano, in pieno stile gigolò in riviera anni 70.

Veniamo dunque alla quarta serata, quella dei duetti autoctoni.

Noemi e Gaetano Curreri: Curreri conosce bene Noemi, avendo già duettato con lei e scritto (assieme a Vasco Rossi) il brano Vuoto a perdere. Performance incolore, capelli della cantante a parte.

Gianluca Grignani, Pierdavide Carone, Lucio Dalla: il buono, il brutto, il cattivo. O "Le tre età" di Klimt, se preferite un riferimento più alto. Il pezzo, incredibilmente, ne esce rafforzato da questa performance. Ma il pensiero che il palco sia invaso da sodomiti strafattoni mi inqueta comunque.

Dolcera e Max Gazzè: pure Godzilla sarebbe inibito da quell'idrovora urlante di Dolcenera, figuriamoci il timido ubriaco Max Gazzè con la sua voce ad ultrasuoni.

Loredana Bertè, Gigi D'Alessio e Fargetta: Respirare IN DA HOUSE. Con lo squallido Fargetta, il pezzo squisitamente anni 80 di Giggi e Loredana si trasforma nella peggiore techno anni 90. Ma chissenefrega; tutto è talmente brutto, pacchiano, demodè oltre ogni limite, che per me è subito amore. Da segnalare il pubblico in delirio a fine esibizione, probabilmente in pieno trip da pasticconi o, più probabilmente, perché la camorra sta tenendo in ostaggio i loro figli.

Chiara Civello e Francesca Michielin: dopo l'incommentabile duetto con Shaggy della sera prima, la Civello prova a rassicurare lo spettatore portando sul palco la giovane Francesca, vincitrice dell'ultima edizione di X-Factor. Povera, piccola Francesca, vestita con un abito che sarebbe stato eccessivo anche per una Barbie di metà anni 80, e costretta a cantare una brutta canzone non ancora, evidentemente, imparata a sufficienza. Dopo un attacco completamente sbagliato, la Michielin le prova tutte, facendo un po' la Dolcenera e le svirgolate alla Nina Zilli, ma è una battaglia persa.

Samuele Bersani e Paolo Rossi: basta, davvero. La deriva di Bersani nella parte del "sono il cantante di sinistra" non la si regge proprio più. Molto meglio sarebbe stato duettare con Paolo Rossi il calciatore. Perlomeno si restava in tema pallone senza farci due palle così.

Eugenio Finardi, Peppe Servillo e Ensemble Futuro: pezzo e cantante, l'ho già detto in tutte le salse, non sono certo sta gran botta di vita, ma la presenza di un raffinato interprete come Servillo lo nobilita e lo rende certamente più godibile, anche dal punto di vista visivo, grazie al suo stile sempre molto teatrale. Da segnalare la presenza sul palco dell'Ensemble futuro, progetto multietnico di integrazione musicale del Conservatorio di Milano, del quale fa parte la stessa figlia di Finardi.

Nina Zilli e Giuliano Palma: no dai, proprio non ce la faccio. Se vi piacciono così tanto a tutti e due i ritmi in levare, levatevi dalle palle e andate a fare il vostro rocksteady da due soldi in un circolo di strafattoni di provincia. D'altra parte, quella cofana di capelli non può non servire a nascondere le pipette di crack come ci insegnò la defunta Amy Winehouse. Meraviglioso il lapsus di Morandi a fine esibizione, che chiama la Zilli Nilla.

Arisa e Mauro Ermanno Giovanardi: sapete quanto io ami il Giovanardi. Ma questa volta Mauro Ermanno sembra leggermente moribondo. Sarà forse colpa dei leggins ultraskinny a vita bassa che indossa? Però che classe quando la voce si scalda un po'. Se poi aggiungiamo sul palco la presenza, in qualità di violinista, di Mauro Pagani (già direttore d'orchestra per Arisa), beh, siamo su un altro pianeta.

Emma e Alessandra Amoroso: Come sono invecchiate male Jo Squillo e Sabrina Salerno. E come è peggiorata la loro musica. In un paese civile, il pezzo di Emma sarebbe vietato ai maggiorenni e la sua esistenza, così come quella della Amoroso, sarebbe dichiarata un crimine contro l'umanità. Ma è chiaro che Morandi abbia un debole per lei perché il suo cognome gli ricorda il colore della merda.

Matia Bazar e Platinette: Platinette abbandona parrucca e ciglia finte per realizzare il sogno di ogni gay: cantare Parole parole di Mina.

Francesca Renga e il Coro Internazionale Scala & Kolacny Brothers: Renga si presenta con una vestaglia da camera in velluto rosso che prima d'ora avevo visto addosso solo a Hugh Hefner e porta con se le fans, a fare il coretto come ai concerti. Mancano solo i braccialetti fosforescente al buio e le fascette con scritto "Renga bono". Però, quando apre la bocca per mostrare quell'abbagliante bidè è davvero irresistibile.

I big sono terminati ed ora sarebbe il turno delle nuove proposte, se non fosse che la Rai decide di perdere ancora un po' di tempo ed aspettare la mezzanotte. D'altra parte son tutti ragazzini, quindi non gli dispiacerà attendere l'ora in cui solitamente arriva Babbo Natale. E dopo un simpatico siparietto in cui Rocco Papaleo e il suo pianista fanno musica degna di un bar di vecchie troie ecco finalmente il futuro della musica italiana:

Alessandro Casillo: mancano pochi minuti alla mezzanotte e Casillo, essendo minorenne, deve sottostare alla solita legge di retaggio fascista che non prevede minorenni in tv dopo quell'ora, pena la fucilazione immediata. Legge che, ascoltandolo cantare, mi pare più che giusta, facendomi inoltre riflettere su quanto il controllo delle nascite su modello cinese andrebbe importanto anche nel nostro paese.

Iohosemprevoglia: look da Fallout boy e sonorità alla Bee Hive, i ragazzi pugliosi ci regalano una memorabile performance: la chitarra del frontman non proferisce suono ma solo perché lo spinotto è visibilmente staccata dall’amplificatore e nessuno se n'era accorto. O forse era solo un'abile manovra di sabotaggio ad opera degli IOHOSEMPREBVOGLIADILIBERARMIDELNOSTROCANTANTE.

Marco Guazzone: resta sempre il meno peggio del male assortito gruppetto di giovani e stasera la sua voce ha qualche incertezza in meno rispetto alla prima esibizione. Ma che fatica, signori miei.

Erica Mou: ecco di nuovo la cantautrice catocomunista anni 70, con la segreta ambizione d'essere la nuova ragazza immagine di Fornarina. Braccia rubate ai lavori di casa.

Scontata la vittoria del piccolo Alessandro Casillo, che causa l'ora tarda è già stato spedito a calci in albergo a farsi rimboccare le coperte da Lucio Dalla.

Tra i big non accedono alla finale i Matia Bazar e Chiara Civello, che spero con tutto il cuore sia costretta a farsi il volo di ritorno negli Stati Uniti seduta di fianco a Shaggy.

Wednesday, February 15, 2012

Sanremo 2012 - La seconda serata: non è richiesta, ma sarebbe gradita, una conoscenza delle sette note.

Questa sera non manca proprio niente e nessuno: ci sono tutti i big, ci sono le giovani promesse (promesse di cosa non si sa, senza dubbio del mondo della disoccupazione) e c'è pure il momento da me atteso con grande trepidazione: la lettura del disclaimar imposto dall’authority per le telecomunicazioni che informa il telespettatore della fallibilità del televoto. Ma andiamo con ordine. Dopo il secondo ascolto dei brani in gara sento di poter aggiungere alcune considerazioni sparse.

Pierdavide Carone e Lucio Dalla: cercando di non pensare a Dalla in intimità col suo nuovo toy boy Pierdavide, mi concentro sul testo del brano che narra della bella lucciola Nanì. E me ne pento non appena odo il verso “potrei stare giorni ad annusare il tuo mestiere”.

Nina Zilli: ieri aveva un casco di banane in testa ed oggi il vestito della donnina Chiquita. Restiamo in attesa del duetto con Cheeta previsto per domani sera.

Eugenio Finardi: suora!!!!!! L'anziano che è scappato dall'ospizio sta sul primo canale a cantare!

Emma Marrone: che canti di crisi, di cuore, o di cazzi ha sempre la stessa ridicola espressione imbronciata.

Marlene Kuntz: "La felicità sarà sempre raggiungibile. L’infelicità sarà spesso incomprensibile". Riflettendoci, la profondità del pezzo di Godano e compagni è uguale a quella di Pietre di Gian Pieretti.

Irene Fornaciari: non ci son cazzi, la genetica non mente. Irene è proprio la degna erede della travolgente bellezza di Zucchero.

Chiara Civello: ma in quale sistema solare saresti una grande interprete jazz, Civello? No spiegamelo, perché ti giuro che voglio capire. Per il momento quello che ho visto è solo la cugina di terzo grado di Cammariere con seri problemi di circolazione alle gambe.

Ok, è il turno dei giovani. Innazitutto ci terrei a fare un appello: ragazzi, non è che ci offendiamo se anche imparaste a cantare, prima di salire sul palco dell'Ariston a riempirvi la bocca con la ridondante parola CANTAUTORE. Sì, perché mai come quest'anno questa definizione viene abusata e violentata. E mai come quest'anno il dilettantismo è stato così visibile.

Alessandro Casillo – È vero: cominciamo davvero bene, con un quindicenne uscito dal talent show per pedofili melomani condotto da Gerry Scotti. A Casillo riesce bene una sola cosa: far apparire i Sonhora (ho sempre problemi con la loro H) due consumati cantanti confidenziali al suo confronto.

Giordana Angi – Incognita poesia: ecco un'altra prova vivente dei danni fatti da Malika Ayane alla musica italiana; la Angi, nel disperato tentativo di apparire sofisticata, storpia le parole, finge pronunce strane, singhiozza nel microfono. Il brano una sua originalità ce l'avrebbe anche, ma ben nascosta sotto troppa impreparazione e chili di pretenziosità.

Iohosemprevoglia – Incredibile: Di cosa hanno sempre voglia questi ragazzi pugliesi? Il frontman del gruppo indubbiamente di trippa con le cozze, vista la stazza. Il resto della band di liberarsi di lui per trovare un cantante vero.

Celeste Gaia - Carlo: un po' Charlotte Gaisbourg, un po' Margherita Buy sull'orlo di una crisi di nervi, la giovane e graziosa Celeste più che cantare squittisce nel microfono la sua infatuazione per uno sconosciuto che vorrebbe si chiamasse Carlo. Io vorrei solo che la Gaia si chiamasse Carlo, perché almeno avrebbe un bel vocione maschile udibile senza alzare al massimo il volume del televisore.

Erica Mou – Nella vasca da bagno del tempo: nel ritornello la Mou ripete ossessivamente "voglio diventare vecchia insieme a te". Erika, tesoro, devo darti una notizia: tu sei già nata vecchia. Pezzo orribile, a tratti irritante, buono solo per i giochi in cerchio all'oratorio al posto dell'Alleluja delle lampadine.

Bidiel – Sono un errore: musicalmente non sono malaccio, un po' Nuovi Angeli, un po' Dik Dik. Peccato che a Sanremo si debba anche cantare...

Marco Guazzone – Guasto: ennensimo sedicente giovane cantautore, ma tutto sommato il meno peggio di tutti (ma parlare di sufficienza è eccessivo), nonostante l'ormai onnipresente brano/filastrocca senza il quale pare non si possa fare più musica in italia.

Giulia Anania - La mail che non ti ho scritto: più stonata delle vecchie sdentate in chiesa che cantano il Gloria, con l'Anania si raggiungono davvero livelli di imbarazzo altissimi. Giulia per favore, scrivi quella mail invece di cantare!

Passano il turno il piccolo Alessandro Casillo, Iohosemprevoglia, Erica Mou e Marco Guazzone. E anche un mio sonoro "esticazzi".

Per quanto riguarda i big, vengono esclusi dalla gara Gigi D'Alessio e la Bertè, i Marlene Kuntz, Irene Fornaciari e Pierdavide Carone con Lucio Dalla.

Nanì se la pija n'ter culo. E chissà se la tariffa per questo è sempre 20 euro.

Tuesday, February 14, 2012

Sanremo 2012 - La prima serata: Being John Morandi, Joan Lui, Johnny il bello (la Bertè) e un Johnny Walker liscio, grazie.

Ecco, ci risiamo. Il prologo in stile "Citizen Kane" mi sprofonda immediatamente nel disagio di un Cristiano Godano privato dell’intera discografia di Leonard Cohen.

E questo solo perché ancora non ho visto il siparietto d’apertura di Luca e Paolo che ci propongono la solita canzoncina satirica sul nuovo governo infarcita di "culi" e "cazzi" che fanno very trasgressiv alla ciellina Eiar.

Peccato, perché sulla base strumentale di Uomini soli, Kessisoglu ci aveva regalato ben altri momenti nei panni di Paolo Bitta, l’impiegato poohofilo incallito ed alfista della sit-com Camera Cafè.

Un cosa è certa: qui l’unico uomo solo è Gianni Morandi. E non certo al comando. Gianni è un mediocre dal cachet milionario, come ce ne sono tanti in Rai, ma con l'aggravante di quel modo fare da curato di campagna che incita i ragazzini della parrocchia al torneo di calcetto, irritante quanto una mutanda in mezzo al culo. Non si capisce se ci è o ci fa, ma, nel dubbio, tutto ciò che dice, ed il modo in cui lo dice, suscita pena e fastidio. Per questo, devo ammetterlo, l'unica cosa che mi suscita una certa empatia è la geniale leggenda metropolitana della sua coprofagia. Ma non siamo qui per parlare di merda, o meglio, non della merda che mangia Morandi, ma di quella che Morandi ci farà mangiare a noi. Quindi, armiamoci di pazienza e mentine e si cominci la gara.

Dolcenera – Ci vediamo a casa: tralasciando l'evidente conflitto tra le due personalità di milf e bimbominkia che si combattono in lei, Dolcenera torna sul palco dell'Ariston con una canzone sulla precarietà dei giovani (tema caldo in questa edizione). Vorrei, lo giuro, vorrei tanto concentrarmi sulla canzone, ma la rima monolocale/cattedrale spegne ogni mio entusiamo dopo soli 20 secondi dall'inizio del pezzo.

Samuele Bersani – Un pallone: abito d’altri tempi, occhialoni, base minimale, Bersani porta sul palco la perfetta sintesi tra Tricarico, assente in quest'edizione, ed Arisa, un po’ come uno shampoo/balsamo 2 in 1, ma certamente con meno efficacia. Il pezzo è coerente con l'ultima produzione del cantautore: una noia ciclopica. E piena di pretenziosità: si parla di quest'Italia che va a rotoli attraverso la metafora di un pallone bucato. Se poi aggiungiamo le stecche sparse a piene mani, dovute, pare, a problemi alla gola, beh, oltre alla noia mi assale anche la malinconia per Chicco e spillo. Ma nonostante il pallone sgonfio, la vittoria del premio della critica gli è già stata assegnata a tavolino.

Noemi – Sono solo parole: fresca di dichiarazioni memorabili, come quella secondo la quale Rihanna le avrebbe copiato i capelli rosso Ronald McDonald, ecco comparire sul palco Claudio Brachino in arte Noemi. il brano glielo ha scritto il famigerato Fabrizio Moro, quello dell'orrida "pensa prima di sparare pensa", che autoplagia il suo pezzo Eppure mi hai cambiato la vita, con il quale gareggiò a Sanremo nel 2008. Il brano parla degli alti e bassi della vita di coppia e Noemi ce la mette davvero tutta per non farmi assopire, strepita, tira fuori tutto il Joe Cocker che c'è in lei, ripete ossessivamente che "sono solo parole". Appunto. Fiumi di parole, che prima o poi ti portano via, come dicevano i sommi Jalisse.

Francesco Renga – La tua bellezza: la sconfinata vacuità dei pezzi di Renga è sempre direttamente proporzionale alla sue quotazioni per la vittoria, non c’è niente da fare. E va detto che, a parte un'iniziale imprecisione nella voce, quella di Renga è uan delle pochissime performance canore sopra sopra la sufficienza. Ma poi a me che mi frega di Renga, c’è quel pelosone di Peppe Vessicchio a dirigere, l'unico vero motivo per cui guardo il festival!

Chiara Civello – Al posto del mondo: dopo Amalia Grè e la Nicolai, ecco a voi Chiara Civello, ennesima interprete jazz famosa (ma poi sarebbe interessante capire quanto) negli Stati Uniti ma sconosciuta nella buzzurra Italia dove la musica di un certo tipo nessuno se l'incula. A parte il fatto che questo è tutto da dimostrare, se le interpreti sono del livello della Civello ben venga la fuga di cervelli. La voce è piuttosto anonima e le imprecisioni sono parecchie. Ah beh certo, c'è grande protagonismo della fisarmonica, che fa tanto Astor Piazzolla very internescional, ma fondamentalmente il pezzo sembra uscito dal repertorio degli odierni Matia Bazar, se non fosse che Silvia Mezzanotte alla Civello ci piscia in testa.

Irene Fornaciari – Il mio grande mistero: mi rifiuto di commentare un brano con un'intro strumentale degna dei pezzi di Cher del periodo dance di "Believe", tanto capire cosa dica è impossibile, problema che avevo già avuto nel 2010. Mi viene in aiuto la pagina 777 di Tv Sorrisi & Canzoni, ma dopo la strofa "lune a dondolo, io ne ho cavalcate su strade proibite" sento di poter dare alla Fornaciari un saggio consiglio: Irene, tornatene a fare rustichelle all'autogrill di Modena sud.

Evito con immenso piacere di parlare di Celentano e non certo per pigrizia o presa di posizione, ma semplicemente perché ho avuto modo di vederlo interamente. Momento molto alto quello in cui Papaleo misura l'altezza di Pupo, inspiegabilmente coinvolto nel siparietto/citazione di Joan Lui. Poi Celentano ha cominciato a parlare bene di Gesù e male di Famiglia Cristiana ed io ho preferito togliere il volume al televisore ed invocare la bestia nera Loredana Bertè.

Emma Marrone – Non è l’inferno: già meriterebbe a lapidazione per essersi fatta scrivere il brano da uno che si chiama Kekko dei Modà. E che brano poi. Un'accozzaglia di parole in salsa di denuncia sociale sulla precarietà di questi tempi espressa in rime dirompenti come "ho dato la vita e il sangue per il mio paese e mi ritrovo a non tirare a fine mese". Emma Marrone, pensandoci bene, è un po' una Gerardina Trovato dei poveri, e non che già la Trovato fosse Joan Baez... Il disagio che mi mette addosso un brano come questo è inquantificabile, quanto la voglia di vedere Emma e Kekko a chiedere l'elemosina fino alla fine dei loro giorni.

Marlene Kuntz – Canzone per un figlio: il cristianogodanesimo dovrebbe essere di diritto uno stato d'animo. Un misto di noia e voglia di morire.

Eugenio Finardi – E tu lo chiami Dio: mentre tu chiami Dio io chiamo il prete che ti dia l'estrema unzione. Peccato, perché Finardi ha pur sempre alle spalle alcune delle canzoni più belle della musica italiana (Le ragazze di Osaka, tanto per dirne una) e vederlo agonizzare su di un brano a tema religioso, di cui non è nemmeno autore, e questo lontano dalle sue corde, mi mette addosso un gran desiderio di eutanasia.

Gigi D’Alessio e Loredana Berté – Respirare: inutile commentare il pezzo, dalle sorprendenti sonorità funk, secondo le anticipazioni sui giornali, ma più verosimilmente dall'orribile sapore anni 80, gli anni 80 italiani più squallidi, quelli delle compilation Mixage. L'unica cosa di davvero sorprendente è la somiglianza sempre più accentuata della Bertè con Richard Benson, tanto che, tra un urlo e l'altro non posso fare a meno di immaginare la comparsa in scena di un pollo morto da sacrificare a Satana. E anche se non pronuncia quel "vi dovete spaventare" che è il grido di battaglia richardbensiano, noi comunque ci spaventiamo ugualmente senza problemi. Quando non urla va pure peggio: parla. Riuscendo e a stonare anche così. C'è una sola certezza sul palco ed è che esiste qualcuno di più disturbato di Celentano.

Nina Zilli – Per sempre: canzone dalle sonorità retrò, as usual, ma decisamente più romantica rispetto al suo repertorio. Io la Zilli non riesco proprio a farmela piacere, non me ne vogliate. Ha un guardaroba da urlo, una insopportabile bellezza sofisticata, ed in più sbandiera il suo essere un casino alternativa, ma tirando le somme è fin troppo palese che sia l’unica a crederci davvero in questo festival. Non fraintendetemi, la cantautrice gioca benissimo le sue carte e il brano di piazzerà senza problemi nella tripletta vincente. Ma se tra Nina e Mina la differenza è una sola consonante, quella letterina è comunque un'abisso.

Pierdavide Carone e Lucio Dalla – Nanì: Nanì è, come Bocca di rosa, un puttanone che la da via come se non fosse sua, e lo fa esclusivamente per vocazione, i soldi non le interessano. Ma Pierdavide Carone non è certo De Andrè. Se poi aggiungiamo a questa lagna sul puttantour il pensiero che anche Dalla possa avere una vita sessuale, scusate ma vado un attimo a vomitare.

Arisa – La notte: dopo aver pensionato gli occhialoni passando così da roito a brutta chic, Arisa compie un ulteriore passo avanti, mettendo una seria ipoteca sulla sua vittoria: abbandona il repertorio oriettabertesco per un pezzo strappamutande, subdolo e dal facile ascolto, che narra di una donna dal cuore infranto che si crogiola nei ricordi e nei kleenex smoccicati mangiando cibi ipercalorici. Il brano è di una banalità sconcertante, ma nessuno ha mai messo in dubbio che questo non sia requisito fondamentale per vincere all'Ariston. E poi la sua interpretazione è semplicemente perfetta, senza una sola incertezza nella voce. Indubbiamente la migliore della serata.

Matia Bazar – Sei tu: riescono nella titanica impresa d'essere più demodè di un tailleur con le spalline. Neanche il ritorno di una brava interprete come Silvia Mezzanotte, con la quale Golzi e compagni vinsero il festival nel 2002, riesce a mascherare il triste presente dei Matia: l'essere una brutta cover band di loro stessi nei tempi d'oro.