Tuesday, February 16, 2010

Sanremo 2010, ovvero: grazie al cielo mancano solo due anni alla fine del mondo.

La pubblicità occulta prima alla Lavazza e poi a Ciao Darwin della durata di circa quindici minuti camuffati da passaggio del testimone tra i conduttori della precedente edizione, Paolo Bonolis e Luca Laurenti, e l'ordierna padrona di casa, la dice lunga sul tenore di quest'edizione del festival e fa presagire il peggio, che prende immediatamente forma con l'apparizione della Clerici, vestita con lo stesso tessuto glietterato della tuta di Automan, che assolve perfettamente il suo compito: camuffare le forme ancora giunoniche (nonostante la dieta a base di pastiglioni delle televendite) della bionda conduttrice per evitare di dover correre a vomitare ripetutamente la cena appena consumata.

Irene Grandi - La cometa di Halley: scritta da Francesco Bianconi, il frontman dei Baustelle con seri problemi di ipersecrezioni di sebo al cuoio capelluto. Bianconi che ancora una volta regala alla Grandi uno scarto dell'ultimo cd del suo gruppo, il cui testo comunque non ci risparmia passaggi scritti col solito tipico stile da mezzo Battiato dei poveri in crisi creativa come "la Cometa di Halley ferì il velo nero che immaginiamo nasconda la felicità". Brano abbastanza noioso, e per giunta interpretato da una Grandi decisamente sottotono. QUALIFICATA.

Valerio Scanu - Per tutte le volte che: ennesimo miracolato da santa Maria De Filippi e portato a Sanremo perché tanto sulla stessa linea ferroviaria di Lourdes. Valerio ha solo 19 anni ma musicalmente è già talmente antico da sembrare un filmato di repertorio delle teche Rai di una vecchia edizione sanremese. E il fatto che si esibisca seduto su uno sgabello con tanro di lunga sciarpa di seta bianca al collo come un cantante confidenziale (scelta certamente decisa partorita dopo lungo travaglio da trust dei migliori cervelli EMI) non fa che peggiorare le cose. QUALIFICATO.

Toto Cutugno - Aeroplani: più ancien regime di lui resta solo il maestro "Nosferatu" Minghi, che però da qualche anno ci fa il favore di tenersi lontano dall'Ariston. Dell'eterno secondo di sempre resta ben poco, e a vederlo urlare, senza più neanche l'ombra della voce di una volta, le parole di un pezzo già vecchio anche per un'edizione del festival di dieci anni fa mi crea un misto di imbarazzo e pena che finiscono col farmi sperare che Povia lo usi per esercitarsi a praticare l'eutanasia. ELIMINATO.

Arisa - Malamorenò: sfoggia un nuovo look ispirato a due icone fashion come Groucho ed Harpo Marx, ma il mood musicale è il medesimo di Sincerità: una Finché la barca va dei giorni nostri, un po' canzone un po' filastrocca, dalle sonorità country ed un ritornello molto orecchiabile. Per la verità, a differenza del pezzo precedente, questo presenta un testo con venature vagamente serie: si parla nientepopodimenoche di amore in un futuro post-atomico, ma tanto Arisa canterebbe con la stessa verve ridanciana La canzone dei Puffi così come un inno allo sterminio degli ebrei. QUALIFICATA.

Nino D’Angelo con Maria Nazionale - Jammo Ja: cambierei il detto "Vedi Napoli e poi muori" in "Senti Napoli e poi muori"...

Marco Mengoni - Credimi ancora: talmente brutta per poter essere criticata in maniera ragionevole. Mengoni, certamente più talentuoso della stragrande maggioranza dei fuoriusciti da talent show, è prova vivente dello sbando della Sony, che ormai basa le sue vendite su brani creati con Garage Band messo in mano a ex impiegati dell'ufficio postale riciclatisi autori e un gran lavoro di taglia incolla con Word. Peccato, perché la presenza scenica del giovane Marco è di gran lunga superiore a quella di tutti gli altri big in gara. QUALIFICATO e destinato ad un ottimo piazzamento.

Simone Cristicchi - Meno male: il testo Cristicchi l'ha scritto assieme a quel Di Gesù che di nome d'arte fa Frankie Hi-nrg e si sente. Rime velocissime che Cristicchi interpreta con lo stile di sempre. Per il resto, beh, penso che tra un Cristicchi e e un Povia la differenza sia ben poca, se non che il primo si salva grazie ad una certa aura empatica emanata dalla folta capigliatura (o dal fatto che non ho l'abitudine di picchiare chi porta gli occhiali). È vero, il ritornello "Meno male che c'è Carla Bruni, siamo fatti così Sarko-no Sarko-si" è concepito per incunearsi perfettamente nel cervello all'istante e restare lì. E non nego che qualche sorrisetto al momento me l'abbia strappato. Ma per favore, l'intelligenza lasciamola a casa perché non abita certo qui. Semmai parliamo di furbizia. QUALIFICATO.

Malika Ayane - Ricomincio da qui: la Clerici la presenta dicendo che "ha nella voce i colori del mondo" ma io ci sento solo la sinusite cronica. Autore è il comunque bravo Pacifico, lo stesso di Sospesa, brano del quale questo Ricomincio da qui è una cover con qualche parola cambiata qui e là. Intonata sì e se vogliamo anche originale con quel modo di muovere le mani diventato suo trademark. E naturalmente raffinata. Tanto raffinata da farmi pensare a Sergio Cammariere coma a un cantante di grindcore. Ha tutte le carte in regola per vincere, anche un neo fidanzato da esibire al pubblico ludibrio come Cesare Cremonini. E una potente etichetta discografica alle spalle, il che non fa mai male. QUALIFICATA tra le grida al miracolo dei critici musicali prezzolati.

Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici - Italia Amore mio: se Pupo ha di nuovo bisogno di soldi mi offro di staccargli un assegno purché eviti ste cazzo di pantomime cripto-nazionaliste davvero imbarazzanti. Uno pseudo inno da subumani alla Meno male che Silvio c'è, "impreziosito", per così dire, dalla voce (oddio, voce...) di Emanule Filiberto, tragicamente somigliante a quella del papero Jay Duck (ricordate il papero canterino anni 80?) ed infiocchettato pure dal tenorino che fa tanto "pace, amore e Claudio Villa". Quando a fine pezzo il principe alza il puno al cielo gridando "si stasera sono qui, gridando al mondo addio Italia amore mio", l'irritazione è tale da sperare che ad Ahmadinejad vengano i dinque minuti e ci bombardi immediatamente con le sue migliori bombe al plutonio. Da propinare a Morgan come possibile terapia disintossicante dal crack stile Arancia meccanica. NON QUALIFICATI, deo gratias, a morte il Re.

Enrico Ruggeri - La notte delle fate: la sua somiglianza con Peter Gabriel è talmentente inquietante che potrebbe benissmo essere l'argomento per una puntata del suo Mistero. Al Roberto Giacobbo della canzone resta davvero poco del Ruggeri del passato (la voce è affaticata, le stonature fiocanno) ed è un peccato perché tutto sommato il pezzo è il più onesto rock della serata, forse un po' datato ma con il migliore arrangiamento tra quelli in gara. Dirige l'orchestra una Andrea Mirò splendida.

Sonhora - Baby: la Clerici li presenta dicendo che amano il blues anni 50 e si ispirano al rock anni 60, ma chiaramente stava leggendo sul copione la riga sbagliata. Il loro Topexan-pop fa apparire i Finley come la risposta italiana agli U2, il che è tutto dire. Era dai tempi di Mirko e i Bee Hive che non si sentiva una canzone che nel titolo contenesse la parola "baby", parola capace di risvegliare in me un rigurgiti di orgoglio autarchico quasi fascista. Il loro canto a doppia voce è un supplizio di Tantalo per le orecchie ma se la canzone è brutta loro lo sono ancora di più ma grazie al cielo gli enormi e colorati cartonati delle chitarre (perché non potevano essere vere Les Paul quelle che imbracciavano) che fanno finta di suonare coprono 3/4 del loro rachitico corpo. Da picchiare. QUALIFICATI.

Povia - La verità: meriterebbe un post dedicato. Geniale artefice del ritorno alla ribalta del cosiddetto "mimocanzone" - quello di Ci son due coccodrilli e un orangotango o dell'Alleluja delle lampadine, giusto per intenderci -, che dalla parrocchia approda al palco di Sanremo. Non vende un disco ma in compenso riesce con cadenza annuale a tirar su certi dei polveroni incalcolabili con i quali Vespa ci marcia per veni puntate di Porta a Porta, tra un Padre Pio e un plastico di Cogne. Quest'anno il turno è toccato alla delicata storia di Eluana Englaro, ma la verità è che Povia ha composto anni fa un unico brano master, nel quale ogni argomento è inseribile passando attraverso paletti fissi come i piccioni che volano e mamma e papà. Certo, è seccante dover ammettere che, drammaticamente, i suoi pezzi possono essere definiti "canzoni" molto più di altri. Re della paraculaggione camuffata da etica pannelliana. QUALIFICATO.

Irene Fornaciari e i Nomadi - Il mondo piange: o meglio Irene Fornaciari e le salme impagliare dei Nomadi, che fino al minuto due del brano non si riesce a capire se siano vivi o no tanto da sperare che qualche orchestrale si prenda la briga di andare ad avvicinare uno specchietto alle loro bocche per controllare che si appanni. Poi finalmente Danilo Sacco, voce solista dello storico gruppo, viene inquadrato e capisco perché fino a quel momento il regista Duccio Forzano avesse evitato l'incauto gesto: Sacco è vestito da comparsa di un film sulla guerra di secessione americana. Il resto è una canzone opaca, cantata con un certo charme dalla figliola di Zucchero, ma sempre sospesa in quel fastidioso limbo tra l'imitazione paterna e il tentativo di una certa autonomia. QUALIFICATA.

Noemi - Per tutta la vita: sulla carta la più bella voce del festival, favoritissima per la vittoria. Peccato che incespichi nel testo e dimentichi le parole per due volte. Ma se l'emozione appanna la sua voce il brano non aiuta di certo a mettere in evidenza le sue doti qualità compresse in una ballata troppo scolastica, troppo lenta, troppo noiosa. Errore madornale a metterla in scaletta subito dopo Irene Fornaciari: entrambe rossi donnoni in sovrappeso dall'animo soul, lo scambio di persona è in agguato dietro l'angolo. QUALIFICATA tra il plauso della critica che perdona le sue sbavature e la consacra a nuova stellina del festival.

Fabrizio Moro - Non è una canzone: meriterebbe di essere imbarcato a forza su una modulo lunare ed essere lasciato a vagare nello spazio per sempre. Tanto nessuno se ne accorgerebbe visto che esce di casa solo una volta ogni uno/due anni per partecipare al festival. Non avendo più magistrati morti da funestare nell'aldilà e non potendo allargare il filone a fatti di cronaca scandalistica perché territorio di Povia, stavolta il nostro Fabrizio decide di stuprare il ritmo in levare sopra il quale butta un testo di una pochezza sconcertante a tema "libertà di vivere la propria vita in totale libertà", che fa sempre tanto rastamanno strafattone dei miei coglioni. Avvilente e QUALIFICATO.

5 comments:

Aldo said...

Non ci speravo più... ma anche quest'anno ci delizi con i tuoi spassosi commenti! RIPRENDI questo blog favoloso please!!!

Sanremina said...

Sei tornata!!!!!!!!! Geniali come sempre le tue pagelle! Ti adoro!

Anonymous said...

adesso attendo con ansia il tuo parere sui giovani! A me sono sembrati particolarmente scadenti.

Kiki said...

grzie per aver detto la verità su Cristicchi, improvvisamente diventato il più grande cantautore impegnato d'Italia. SCRIVI ANCORA!

Anonymous said...

forse ha fatto meglio bungaro, escluso dal festival e se ne è creato uno tutto suo sulla sua fanpage di facebook,in gara le canzoni del suo nuovo cd, nn male come trovata
http://www.facebook.com/pages/Bungaro/100620566309?ref=ts)